Raccolta delle giuggiole per mangiarle fresche o conservarle

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la Redazione
30 agosto 2024

Con ottobre continua o inizia la raccolta delle giuggiole a seconda della zona e si può eseguire con criterio osservando i frutti e l'avanzamento della maturazione, anche in base al modo in cui saranno consumate

Il giuggiolo (Zizyphus sativa) nella cultura popolare è poco considerato: non compare mai sulle tavole dei signori, matura nel settembre e stramatura nell’ottobre, ha il seme grosso e legnoso, la polpa scarsa ed agretta di color verde pistacchio, è un frutto veramente poverello, tanto che un detto così lo denigra: «Ha persin la buccia dello stesso colore che ha la tonaca del frate che va alla questua».

I frutti del giuggiolo, inseritio su un corto peduncolo, sono drupe con buccia sottile inizialmente verde che diviene di colore nocciola scuro a maturità; la forma può essere rotonda od ovale a seconda delle varietà. Le dimensioni, nelle varietà finora coltivate in Italia, sono quelle di una grossa oliva. La polpa è bianca, consistente, piuttosto asciutta, di sapore gradevole dolce un po’ acidulo. Il nòcciolo è ovale allungato, di solito appuntito, e contiene due semi (si possono però avere anche frutti di tipo partenocarpico, nei quali il nocciolo è privo di semi).

La raccolta delle giuggiole per il consumo fresco, quindi, inizia già dopo l’invaiatura, ma il momento migliore è a completa maturazione, quando maggiore è la concentrazione zuccherina. La maturazione delle giuggiole è scalare: inizia con la comparsa sui frutti di piccole macchie bruno-marrone che man mano diventano più grandi, fino a coprire tutta la superficie. La raccolta, quindi, può essere effettuata man mano che i frutti maturano; i frutti si possono consumare anche leggermente avvizziti e appassiti. L’allegagione è di solito scarsa, ma migliora con l’impollinazione incrociata quando nelle vicinanze è presente un’altra pianta di giuggiolo di varietà diversa (non è infrequente che vi siano individui autoincompatibili, cioè che non fruttificano se isolati).

Quella dei frutti destinati a essiccazione e conservazione, invece, va effettuata oltre la piena maturazione: si deve aspettare che la buccia presenti qualche piccola piegatura di appassimento. In questo caso le giuggiole si usano poi per la preparazione di marmellate, sciroppi, confetture e gelatine.

Le giuggiole sono ottime anche per impieghi in pasticceria (canditi) e nella preparazione di bevande alcoliche liquorose. Si possono conservare in alcol o grappa. In medicina naturale le giuggiole si utilizzano per le notevoli proprietà antinfiammatorie (frutto fresco), emollienti ed espettoranti (decotti di frutti disidratati).

Il prodotto trasformato più famoso, grazie al modo di dire che sta a significare una grande soddisfazione, rimane però il brodo di giuggiole che è un liquore poco alcolico.

Curiosità sul giuggiolo

In Africa del Nord il giuggiolo era molto noto, il frutto veniva seccato e polverizzato per impastare focacce che qualcuno ha voluto identificare con il cibo magico offerto dai lotofagi ai marinai di Ulisse. Discendenze così nobili non hanno salvato il nostro giuggiolo da distorsioni popolaresche, detti e proverbi: «è un lavoro lungo, altro che giuggiole!» e «un’eredità di cento milioni? Una giuggiola!».

Si riferisce allo stesso simbolismo il termine «giuggiolone», così viene definita una persona ingenua, lenta e poco sveglia di mente. Invece ha un significato positivo l’espressione «giuggiolino» che sta ad indicare un bambino grassottello e grazioso dal colorito fra il giallo ed il rosso; «andare in brodo di giuggiole» significa godere di un piacere delizioso come assaggiare una dolcissima giuggiola appassita; «quando il giuggiolo si veste, e tu ti spoglia, quando si spoglia, e tu ti vesti», indica il sopraggiungere della buona e cattiva stagione. Le giuggiole per tradizione vanno raccolte in settembre, esattamente il 29: «per San Michele la giuggiola nel paniere».

In Italia il giuggiolo è particolarmente legato al paese di Arquà Petrarca, in provincia di Padova, sui colli Euganei, da quando il frutto fu portato dai veneziani che avevano compreso, da maestri agronomi quali erano, come il particolare microclima collinare fosse perfetto per la coltivazione di giuggiole e olivi, produzioni agricole tuttora predominanti in quel territorio. Non c’è brolo (orto-giardino-frutteto) ad Arquà Petrarca – che conta circa duemila abitanti – in cui non ci siano giuggioli, da due-tre sino anche a venti esemplari per casa, con una produzione media di 50 kg di giuggiole per pianta all’anno.

Dagli anni ottanta del secolo scorso il frutto è divenuto anche protagonista di una festa ottobrina di grande richiamo. Per maggiori informazioni consultate il sito Internet www.arquapetrarca.com.

Come preparare il brodo di giuggiole

Ingredienti. 1 kg di giuggiole ben mature, 2 grappoli d’uva bianca Zibibbo (nel caso non la trovaste utilizzate uva Moscato), 1 kg di zucchero, 2 mele cotogne, 2 bicchieri di vino rosso Cabernet, 1 limone, acqua q.b.

Preparazione. Lavate le giuggiole e mettetele in una pentola capiente, aggiungete gli acini d’uva, lo zucchero e un po’ d’acqua per non farli attaccare sul fondo, quindi fate cuocere a fuoco
molto basso a pentola chiusa per circa un’ora. Nel frattempo lavate le mele cotogne e tagliatele a pezzetti mantenendo la buccia, quindi aggiungetele agli ingredienti precedentemente cotti.
Unite il vino e continuate la cottura a fiamma alta sino a quando sarà evaporato, aggiungete la scorza del limone e ultimate la cottura per pochi minuti. Foderate un colapasta con garze
di cotone, posizionatelo in una ciotola e aiutandovi con un mestolo trasferitevi il composto, da coprire con un coperchio affinché non entrino moscerini o altri insetti. Dopo circa 10 ore nella ciotola si sarà raccolto il brodo di giuggiole, da porre in bottigliette a chiusura ermetica precedentemente sterilizzate.

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