Fico d’India, pianta ideale da coltivare nel giardino-frutteto

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la Redazione
26 settembre 2024

Nel giardino-frutteto a bassa manutenzione, dove le piante vengono coltivate sia per il loro aspetto ornamentale che commestibile, trovano spazio anche specie, rustiche e di poche esigenze, non strettamente legate ai nostri ambienti, come il fico d’India, pianta esotica ormai di casa nelle zone calde e miti del nostro Paese

Caratteristiche botaniche del fico d’India

Il fico d’India (Opuntia ficus-indica) è una pianta succulenta che immagazzina notevoli quantità d’acqua nei fusti, i quali presentano la forma di grosse e carnose pale verdi (i cladodi). Le pale (lunghe mediamente 20-40 cm, larghe 10-25 cm e spesse 1,5-3 cm) hanno forma ovale, con la base appuntita e crescono una sopra l’altra. Da giovani sono tenere e di un bel verde, poi, pur rimanendo acquose, presentano internamente fibre lignificate; queste ultime forniscono la resistenza meccanica necessaria per sostenere tutta la pianta, che con l’acqua accumulata diviene molto pesante. In altezza può superare i 5 metri.

A fine primavera, in cima alle pale delle piante adulte, appaiono bellissimi fiori di colore giallo, portati alla sommità del frutto già visibile, ma ancora piccolo, che a maturità è rosso-violaceo. I frutti – una pianta adulta ne produce in media 5-10 kg – che maturano in agosto oppure, se si pratica la «scozzolatura» (cioè l’asportazione dei primi fiori per avere frutti in autunno), da ottobre a dicembre, contengono molti grossi semi, di color marroncino e delle dimensioni di 2-3 mm. Tutta la pianta è ricoperta di spine (tranne le varietà senza spine), anche se la parte più insidiosa è rappresentata dai minuscoli peli rigidi (i glochidi) presenti sui frutti e sulle pale, riuniti su piccole protuberanze rotonde (areole), i quali si infilano nella pelle e difficilmente ne escono, procurando molto fastidio a chi prova a raccogliere i frutti senza robusti guanti.

Resiste al caldo torrido, ma non sopporta i ristagni d’acqua e il gelo

Il fico d’India è una pianta estremamente rustica, in quanto si adatta a terreni poverissimi o addirittura composti prevalentemente da roccia (più o meno frantumata), anche di origine lavica, che contribuisce con le sue radici a trasformare in fertile terreno. Non tollera però i ristagni d’acqua ed è bene che il suolo contenga molta sabbia o ghiaia grossolana, al fine di far sgrondare l’acqua in eccesso. Vuole il pieno sole e un clima a inverno mite. Per questo motivo il fico d’India è coltivato in piena terra solo nelle regioni centrali costiere o in quelle meridionali. Resiste in modo eccezionale alla siccità, ma per la produzione dei frutti tardivi (i cosiddetti «bastardoni»), occorre rimuovere tutti i primi fiori (operazione definita scozzolatura) e irrigare la pianta se l’estate è troppo arida, per poter raccogliere frutti grossi e dolci. Pochi e trascurabili sono i parassiti e le malattie del fico d’India, che comunque può essere attaccato dalla mosca della frutta (specialmente sui frutti di agosto, mentre i bastardoni, più tardivi, sfuggono alla mosca) e da altri parassiti come le cocciniglie.

Al nord va coltivato in vaso

Il fico d’India resiste al freddo, ma non a forti gelate, soprattutto se il terreno si presenta intriso d’acqua: per questo motivo al Nord si consiglia di coltivarlo in vaso per utilizzarne le pale come ortaggio; questo è l’unico metodo per usarlo in cucina, in quanto difficilmente riesce a fruttificare al Nord. Il vaso, durante l’inverno, va poi posto in un luogo riparato. Va preferito un vaso di terracotta e va usato un terriccio adatto, evitando di mettere il sottovaso, al fine di scongiurare ogni ristagno d’acqua. Sempre al Nord, nel caso di luoghi particolarmente riparati e/o miti, lo si può coltivare anche in piena terra, a ridosso di un muro esposto a sud, avendo l’accortezza di tenere il suolo asciutto durante l’inverno tramite una protezione che ripari al contempo anche la pianta dal freddo. Ricordate infatti che, se la pianta è zuppa d’acqua, viene danneggiata molto più facilmente dal gelo.

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