
Tra tradizioni regionali e regolamenti europei, fare chiarezza sulla nomenclatura del pollame non è semplice. Ecco una guida pratica per orientarsi tra definizioni ufficiali e curiosità
Quante volte, parlando di pollame, ci siamo chiesti quale fosse il termine corretto da usare? Se le tradizioni regionali hanno creato nel tempo un vocabolario ricchissimo, oggi esistono precise definizioni normative che aiutano a fare chiarezza.
Partiamo da una precisazione importante: mentre nell’uso comune “pollo” indica qualsiasi esemplare di Gallus gallus, i regolamenti sulla commercializzazione utilizzano questo termine in modo più specifico. Infatti, il pollame include ufficialmente galline, tacchini, faraone, anatre, oche, quaglie, piccioni, fagiani, pernici e persino uccelli corridori come struzzo, nandù, emù e casuario, quando allevati per carne, uova o ripopolamento.
Il viaggio nel mondo degli avicoli inizia con il “pulcino di un giorno”: un termine tecnico che indica i primi tre giorni di vita, quando il piccolo non ha ancora bisogno né di acqua né di cibo, grazie alle riserve del tuorlo.
Dopo le 72 ore, le strade si dividono: chi è destinato alla produzione di carne diventa “pollo”, riconoscibile dallo sterno ancora flessibile. Se invece parliamo di riproduzione, il maschio diventerà “gallo” per la produzione di uova da cova, mentre la femmina sarà “gallina da riproduzione” o “ovaiola”, a seconda che le sue uova siano destinate alla cova o al consumo.
Ma le definizioni non finiscono qui. Il “galletto”, con il suo peso inferiore ai 750 grammi (riferito alla carcassa senza frattaglie, testa e zampe), è una prelibatezza della nostra tradizione gastronomica. Il “cappone”, maschio castrato chirurgicamente prima della maturità sessuale, è invece il re delle tavole festive. “Gallo” e “gallina da brodo” sono invece caratterizzati dallo sterno rigido, completamente ossificato.
Questa precisa classificazione non è solo teoria: i regolamenti europei la utilizzano per garantire trasparenza nella commercializzazione, arrivando a specificare che gli animali da macello devono essere abbattuti entro 72 ore dal loro arrivo al macello. Un modo per tutelare sia i produttori sia i consumatori, salvaguardando al contempo le preziose tradizioni dei nostri allevamenti.